Sul display tre chiamate e un numero coperto,
in un giorno che proprio non era uguale agli altri,
in un periodo grigio ed anche un po’ sofferto,
dopo un inverno carico di fondi e bui pensieri.
Tre chiamate mute in un’ora inusuale
a un telefono attivo dimenticato in auto,
mentre al sole andavo di prima primavera,
sciogliendo nei colori quel male sempre uguale.
Ci ragionai un poco su quelle tre chiamate,
e capii chi era, ne ebbi la certezza
senza saper perché! Poi, serie di conferme,
giorno dopo giorno… Viveva, lo sentivo,
lo stesso tempo mio, ma nascosta a me,
e, guardando in alto, seppi che era sopra
di lei lo stesso cielo. Non più immense distanze,
solo memori silenzi tra noi significanti
tutto quanto non era e non sarebbe stato.
Nulla avevo fatto per sapere dov’era,
ma forse troppo per trovarla dentro me.
Eccola poi a un tratto fuori dalle idee,
dentro i luoghi miei, dentro lo stesso vento
dolce di questa terra, fresco di questo mare,
monti, colline e boschi, delle città bellissime
e, troppo vecchie, amare. Quanto avrei voluto
dirle io di queste luci, condurla nei crepuscoli
sui poggi tra le piante, tra odori di serate
estive e collinari e scendere in millenni
di storia affascinante, viandanti vacanzieri
su selciati secolari. Quante volte l’avrei
voluta accanto amante davanti ad un camino
con profumi un poco amari d’attorno di legname,
di fumo e di montagna, con il sapore in bocca
di carni fatte ai ferri e di odoroso rosso
di terra e di campagna. Ma questo non fu mai,
e mai succederà. Ma fu nei miei pensieri,
e fu bello per questo più d’ogni cosa vera.
Non durò abbastanza, perché lei, realista,
infine, mi chiamò. E fu una volta e poi,
ancora un’altra volta. E cosa ci dicemmo?
Come noi restammo? In tre anni diceva,
sai, cose son successe… Tre anni m’han cambiata:
le cose non son più quelle d’allora, son
diverse e diversa mi vedo pure io.
Ne ho fatte di sciocchezze, eh sì, e pure tante,
ma di cose un sacco ho capito in fondo…
Questo diceva e ripeteva convinta,
e pareva contenta del suo nuovo sentire,
di questo vedere altro nel mondo, da cui ripartire.
Però, non un dettaglio degli accaduti fatti
che avevano improvvisi mutato il suo interesse,
neanche un tratto degli eclatanti eventi,
capaci, in tre anni, di rivoltar la vita,
non un solo spiraglio su quel nuovo universo,
non una sola immagine dell’attuali prospettive.
Ed in maniera nuova la penso, aggiungeva,
riuscirò, ora, a capirti un poco meglio:
leggerò i tuoi scritti d’allora volentieri.
Di farmeli avere ti prego, se ti va…
perché, sai, allora, l’ultima volta, sai…?
Dopo la telefonata, quell’ultima ricordi…?
ogni traccia di te ho disperso, ogni cosa
che di te mi parlasse. Tu di me, certamente,
avrai fatto lo stesso: recapiti e numeri
gettato avrai tutto, e con esso il pensiero…
Questo diceva un giorno, dopo tre anni di niente,
e mi pareva di essere diventato una cosa,
vero!, solo una cosa in mezzo alle tante,
rimbalzata, ad un tratto, sopra un’altra cosa,
e mutata in fretta in ombra di passante.
Non avevo in mente parole per parlare,
ascoltavo seduto, stranito e silente
(ricordando: per me eran state altre fole…)
quella lezione sull’essere incomunicante.
E pure pensavo ai miei scritti pensieri:
leggerli lei voleva allora nuovamente,
per capirmi, diceva, un poco più di ieri…
ma ripormi chissà, pensavo, tra quale gente,
senza occhi e voce, senza mani e piedi,
accatastato, cosa tra cose, anonimamente,
nei suoi ricordi con altri vecchi arredi,
tra “sciocchezze ne ho fatte, e pure tante”.
donato pistone (qualche tempo fa)
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