lunedì 26 dicembre 2011

Feroano

Come Feroano, virtuosissimo et valentissimo cavaliere, a morte ignobilissima et vilissima venne doppo mille perigli et tremendissime aventure da fortuna a lo istesso apparecchiate; in tra li quali perigli et aventure homo rettissimo et sanza sceleratezza alcuna erasi monstrato.
                Spinto fui a trattar d'esta materia da lo desio de tradurre lo glorioso spirito de li passati tempi ad li homini d'esto secolo excellentissimo, li quali per lo loro clarissimo valore massimamente incivilizzati extimansi, et ad justissima ragione.
                Ad simile fattura d'homini lo meo argumentare habe la pretesa de volgerse ne lo narrare et laudare la virtute et la prudentia et la caritate et la pietate, le quali - facultà nobilissime de lo animo umano - compagnorono lo nostro sciauratissimo Feroano ne lo grave atraversamento de la vita, per varissimi perigli et disperatissime aventure.
                Amaestrare non intendo li giovani et li fanciulli ad non "seguir virtute e canoscenza", como dice lo sommo poeta de lo viaggio oltremondano; parar voglio loro inanzi li lacci ch'a noi Fortuna serba.
                Ma imo ad lo incipio de lo nostro argumentare.
                Feroano, valentissimo cavaliere de lo reame d'Altofello, expertissimo ne lo uso de la spada quanto de la favella, animosissimo ne lo manegiare li pallafreni sì come li homini sanza senno et moderatione, se ne iva uno die pe' lo bosco massimamente odoroso de li doni pretiosi li quali le belve ad la natura offrono et ad l'omo, quanno: "Aita! Aita! - audì et poscia - Aitateme cavalieri de lo reame bello d'Altofello. Aitate 'na miserrima fanciulla da lo tormento, da lo scoramento!"
                Ne lo quale attimo istesso, fue tutto uno tumulto de cogitamenti et sentimenti ne la magna mente et ne lo forte animo de lo nostro Feroano, lo quale se n'iva sommesamente favolegiando in tra la selva, quanno da chelli mesti richiami, ad lo monno vero, da le fallaci vedute, fue transeato.
                Lo momento massimamente grave se monstraba.
              fanciulla  "Nu sperigliamentu de 'na pulcella - cogitaba Feroano - me purria fa possede novello honore et majorare mea virtute et, ne lo istesso tempore, possessioni et incastellamenti poterrei aquistare pe' la assai difficultosa actione."
                Intra tali nobilissimi et onorevolissimi pensamenti insinuossi etiam lo pensamento de lo guiderdone amorosissimo ch'ad ille fanciulla conferrire potea. Lo quale pensamento, come si sublevato abesse li fasciamenti muscolari de lo nostro Feroano, già spignea li speroni contra lo ventre de lo caballo ch'in furiosissima corridura drizzoe lo muso.
                Lo Feroano nostro uso era semper induossare li vestimenti propri de la pugna pe' lo fatto istesso de lo desio mai spengiuto de lo pugnare, ma non contra li homini chè essi è facillimo nientare pe' 'no guerriero pari sua, benesì de lo pugnare contra li draghi terribilissimi et impietosissimi (la de' quali esistenza è verosimilemente cosa certissima).
                Ma la variabilissima Fortuna, signora de lo monno materiale, abea voluto già mai offerire ad lo nostro cavaliere, lo quale pure la iva cercando, l'occasione de lo pugnare contra li homini sì come contra le belve ferissime.
                Esta era la occasione la quale Feroano da li tempi de la su' prima fanciullezza attendea.
                Corendo a rompicollo in tra la folta selva, li pensamenti que s'arruffavano in ne la mente de lo impavido cavaliere erano copiosissimi: pensaba que si la maledetta bestia ch'aveba in tra li pedi perseveraba in cotale matta corridura la disarcione l'era securissima; pensaba que la possente armadura que lo contineba non pochissimo infastidimento et angustia arrecabagli ne lo malamente ire su, giù, di qua, di là, menata in cotal guisa da lo scompigliato movimento de lo demente animale; pensaba a lo doglio que facebasi semper majore in ne lo fondo de la schiena pe' lo sgangherato modo de fuire de la sconsiderata bestia que non voleba saperne de continere li istinti et agire ragionevolemente; pensaba a la vita virtuosissima et onorevolissima, et serenissima, ne lo sognare magne imprese, ch'aveba conducto infino a kel momento; et finalemente pensaba que corendo istava in erratissima diretione et etiam pensaba ch'era infastidito assai da cotale accadimento que contra li suoi intendimenti iva, et veduto que la stupida bestia non apprendeba de fermarse, istaba per fortissimamente culpirla con lo pugno, quanno uno indisciplinato ramo assai uscente da una rigogliosa arbore salvoe la misera belva trattenendo Feroano, que in guisa di stagionatissimo salume restoe appeso. appedato


                Appedato et molestato non pochissimo da lo fastidioso acciaccamento (de lo corazzamento) que arrivaba fino in tra le gambe, quasi obliaba lo suo magno dovere, quanno audì ancora: "Aita! Aitateme cavalieri!"
                A lo auscultare tali gridi lo fastidio de lo corazzamento aumentoe et crebbe semper più con lo crescer de li gridi et de li pensamenti que la fame ne lo homo majora .
                Doppo lo terribile attrabersamento de lo bosco, de lo quale ci asterremo da lo trattare de li impedimenti truati, in su lo far de la notte, lo nostro valentissimo cavaliere se trovoe in una radura et in kello estendimento vide lo incastellamento et la donzella que, omai stracca, menaba gridi bassi et rari.
                Feroano, precipitatosi in su lo ponteggiamento transea, lo istesso con securezza et portamento d'uno par suo, seppure lo doglio aportato da lo corazzamento pestato fusse invero ingentissimo.
                Junse con non pochissime peripezie ad lo cubicolo de la miserella.


                A lo nostro cavaliere s'apparecchioe la divina visione d'una angelica fanciulla. Lo doglio fu massimo, ma la virtute forte de lo nostro caualiere lo dusse a la favella: "Feroano est lo meo nomine, pulcherrima et divina fanciulla, et cavaliere sono de lo reame d'Altofello, junto infino qui per salvare Voi, madonna, da le insidie de li scelerati et per satiare lo meo honore. Diteme, o vergine, qui est lo sconsiderato que v'insidia, assaporerà la lama de la mea Dureintatta; mostratelo ad me, adonque, cotesto fellone, capirà infine lo periglio de volere co' la bruta forza avicendarse ad Voi, nobile donzella. Oh, ma vi tiene ei forse prigione? Dite, ve ne prego!"
                "Ma no, valente cavaliere - rispose mollemente la fanciulla - non alcuno me insidia et niuno me tiene prigione. Perduto ho, or non è uno die, lo sposo meo et sommamente desperata et afflitta esendo, consolo chieggio."
                "Oh povera fanciulla in ne lo casto doglio consunta - et qui rimembrossi de lo suo doglio - de la mors imatura de lo sposo. Oh Fortuna! Oh trista dispensiera de li infausti lutti et ruine!"
                "Ma no, messere - et ora rispuose con uno certo infastidimento - mors imatura non fue, et già lo pouero sposo meo ottanta li giri completi de lo anno abea cuntati, et erano omai quattro li lustri que più non iscopriba li mei secreti lochi. In esto estabe lo meo struggimento et mea sciagura. Homo non cognosco uero da lo die de lo meo nascimento!"
                "Non disperate madonna - disse Feroano, graue pe' lo 'mpegno accettato, et agiunse - scoverò eo istesso lo homo virile pe' lo appagamento de lo vostro justo desio!"
                Et ne lo menare lo discurrimento ora in tra li secreti lochi de la femina, ora in su lo appagamento, ora in su lo desio de la miserella, lo doglio de lo nostro Feroano aumentabasi alquanto et homo comune ad svenimento in pari circumstanza saria venuto.
               colloquio "Cavaliere, cavaliere - ripiglioe la sciagurata - servigio prestateme vui istesso! Adelante! Adelante!... Si puedes…"
                Et, profferiti cotali verbi, girossi et appostossi in positura que lo popolo sciocco et ignorante deffinisce de la pecora (esendo lo popolo in confidentia co' sì fatti animanti), et agiunse castamente: "Orsù, meo valente cavaliere, poneteme a tergo lo vostro baculo, lo quale medicamento sia ad lo meo martirio. Et, esendo pe' le ferite in su la pelle li medicamenti esterni, similemente patendo eo in ne lo 'nterno, sia lo medicamento vostro assai deciso in ne lo penetrare a fundo, sì ch'eo possa da lunghissima malatia salvarme et godere justamente de le delitie ch'a noi Natura serba."
                Feroano, seppure fortissimamente riscaldato da sì tanto patimento, et morso da la fame cumulata in tant'anni de uirtuose imprese imaginate, se trovaba in ne la massimamente fastidiosa condicione di colui que debe, vole, vole, ma non puote. Kello acciaccamento, infatti, in su lo corazzone non sultanto ad lo pouero Feroano proccuraba lo doglio persistente de lo muscolo que lo homo fa disuguale da la femina, ma similemente tanto impedia lo liberamento de lo istesso (actione, esta, fundamentale pe' lo rendimento de lo servigio ad la miserella) que lo nostro caualiere, homo da la agilissima mente, stretto fue da le circumstanze ad lo escogitare uno assai ingenioso ingano. Lo quale ingano ego non sabe proprio ad chi de li due più inganevole pervenne. Lo ingano fue cotesto: Feroano, impicciato in la faccenda in ne la quale sua virilità esser potea fortissimamente compromessa, volse lo elmo - dentro lo quale è sin troppo perspiquo que se truasse per aventura la sua testa - a diritta prima et poi a mancina. Veduto que ebbe lo grosso cereo posito lì presso et afferatolo in guisa di sega, tosto lo menoe in ne lo loco fesso de la femina. Et più manegiaba kello istrumento in ne la fessa, majormente lo doglio suo s'acuiba tanto que più et più fiate lo corpo suo accasciossi in su lo corpo ansante de la gentile fanciulla. La quale cosa faceba verosimilemente extimare fusse uno proprio coitus a tergo.
                Ma, ne lo mentre d'uno di cotali accasciamenti, ruppe in ne lo cubiculo 'no cavaliere da la magna altitudine et amplitudine, lo quale sommamente contrariato da lo fatto ch'altri godesse (così pareba) de la sua femina: "Poni mano ad lu ferro, pusillanime! Come osi godere de la fessa ch'a me solo apartiene pe' sacro vinculo et divina approbatione!"
              cornato  Sì come lo homo monstera in ne lo doglio et ne lo gaudio magno pari segnature in su lo volto et pari manifestamenti in ne lo agire, così Feroano, dolendosi massimamente per la stricta erectio, pareba similemente solazzarsi in ne lo 'gnobile coito ('gnobile ché la femina bassamente abea mentito inganandolo) sanza cura alcuna de lo misero cornato.
                Lo cavaliere, sposo de la femina que maiala s'era demonstrata, ripetette in ne lo massimo de lo agitamento: "Poni mano ad lu ferro, pusillanime!"
                Ma Feroano pe' la enesima volta volendo, dovendo, ma non puotendo pe' lo doglio acutissimo, stette imobile guaendo como lo cane face in su la sua cagna.
                A tal veduta, lo cornato afferoe lo brando suo et cum forza furiosissima et bestiale, troncoe d'un sol colpo lo elmo, et claramente lo capo, de lo nostro fue valentissimo cavaliere.
Qui se conclude lo atrabersamento mondano
de lo cavaliere que fue nomato Feroano
que tanto travaglioe di mente et di mano
a ke lo suo esser vivo non fusse 'nvano.
DOUERE DE LO ISTORICO
                I' mi son un ke quanno Historia chiama respondeo et in kello modo que m'insorda in ne la testa i' vo scarabocchiando le mee carte cum kello acume et cum kella curanza que conbien pongase a tal materia. Ma non que la Natura non me desse d'esser mortale et per kella ragione sì finito et sì fallace da non puoter in perfetione mai pur venire. Kella perfetione, dico, la quale m'avria discoverto lo vero, uno et uno sultanto, in ne lo accadimento in ne lo quale lo nostro Feroano parea la vita cum la testa et lo elmo aber perduto.
                D'esto accadimento et de la resultanza de l’istesso, uno die, i' non so ben ridir per qual ragione, i' volli pur accertarmene per aventura et per iscrupolo. Et in tale guisa junsi ad iscoprir tota meschinitade et viltade de lo nostro humano essere et como noi pur certissimi, da li nostri sensi in continuo ingannatissimi semo et sì como fanciullini menati et in circulo girati.
                Lo leggittore troppo attento aberà pure iscoverto lo punto in ne lo quale mio fallo trouasi, ma esendo conveniente a uno qualsiasi tomo de historia lo essere utilissimo non ad pochi - sì como credono li ignoranti amantati de saccenteria-, benesì ad li moltissimi crani non vacanti, i' mi spiegheroe et ad onne homo et majormente ad onne gentil domina (ché se sabe quanto gaudio prendesi in ne lo penetrare keste cum la ragione) monsterò lo fallo meo grande sino ad porlo proprio in sotto li oculi; et etiam vorrò lor farlo tangere et que s'accorgano de la durezza sua et de lo sommo periculo de lo manegiare lo istesso cum superficialitade et sine cura.
                Lo fallo istabe in kello punto in ne lo quale i', non accorgendome de kel que diceba, pure affermaba: "A tal veduta lo cornato afferroe lo brando suo et cum forza furiosissima et bestiale troncoe lo elmo et claramente lo capo de lo nostro fue valentissimo cavaliere".
                Uno et uno sultanto est lo verbo que debesi trascinare ad lo cospetto de lo judice de lo tribunale de la veritade. "Claramente" est lo fraudolento lo quale fugì la tutela de lo umile compilatore d'este carte, lo quale di null'altro si non di stracchitudine reo puotesi reputare.
                "Claramente" troppo certissimo indicio est de nostra superbia, troppo certissimo indicio est de nostra caprinitudine in ne la folle speme de puoter aristutelicamente dire que un più un fa duo.
                Circumdati semo da misteriosissima Natura et in onne dove ripuosasi Fortuna inseme a Ingano comitata da uno schiero de famigli di assai allettevoli simbianze que gittanci verso lo rimbambimento.
                Poi ch'io ebbi cum keste paroline assolto ad lo primero compito de lo scrivano que est facere uno introducimento, venimo ad li fatti ché lo ammorbamento già tra gamba et gamba fe' più spatio.
                Feroano pe' lo doglio et la vergogna di quel ke facea et di quel ke non puoteba facere, semper plus in sé rinserrandose (per gittare lo scandaglio ad la sua cuscienza et iscuprire si maculata fusse), a niente se ridusse, tanto ke tutto rappallottolato istabase in ne lo ventre de la armadura.
                Lo colpo de lo cornato aveba adonque fatto fessa una capa ma non l'altera, sì como troppo spesso accade.
                Primo dovere de lo istorico cuscienzioso est lo palesare le fonti. Et ego declaro de abere appreso li fatti da uno servo gravissimo et di longa vecchiezza, ad lo quale fue dato lo ordine de raccattare kella armadura a ke fusse gittata et dispersa in ne la selva et maledetta. La quale cosa kello servidore comincioe ad facere, ma poi que fue presso lo Gran Masso Maledetto in su lo quale dovuto avria dare ad lo macello lo fue valentissimo Feroano, iscoprì ke vivo era et cum lo capo in su lo collo.
                Lo servidore guardoe lo elmo et poscia lo capo, lo capo et poscia lo elmo. "Tu sie lu diavulo, ca ta ricrisce la capa!" urloe culmato de terrore.
                Feroano ke in kello momento riprendea li sensi perduti pe' lo disdoro et l'onta et l'infamia, perduto a retro ad li cogitamenti de la meschinitade et viltade de la gesta, non se curoe de lo villano petulante, lo quale omai certissimo ke lo diavolo istaba per tentarlo et assalirlo, cum uno grosso et assai nudoso fusto si gittoe mattamento in su la diabolica apparitione a ke, justamente colpita, scappasse in su l'istante. Ma kella non fuiba et lo servo continuoe ad guazzare in kella pulticula de carne et sangue infinoché la stracchitudine puotè più de la fede.
                Esta est la vita et la morte de lo virtuosissimo et valentissimo Feroano, cavaliere de lo reame d'Altofello, exemplo 'mperituro de fortezza et de pietade, de grandezza et de umiltade, de virtude et humanitade 'nseme ad rogna nera et jella 'nfame.
 donato pistone (1992)

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