venerdì 30 aprile 2021

Sulla catena del potere... o della servitù

Le parole più chiare, nette e puntuali sulla grande parte dei rapporti umani che possiamo osservare attorno a noi...

Etienne de La Boetie (1530-1563), dal "Discorso sulla servitù volontaria"

...Sono sempre quattro o cinque che sostengono il tiranno, quattro o cinque che gli tengono l’intero paese in schiavitù. È sempre successo che cinque o sei hanno avuto la fiducia del tiranno, che si siano avvicinati da sé, oppure chiamati da lui, per essere i complici delle sue crudeltà, i compagni dei suoi piaceri, i ruffiani delle sue voluttà, e partecipi ai bottini delle sue scorrerie. Questi sei orientano così bene il loro capo, che a causa dell’associazione, egli deve essere disonesto, non solamente per le sue malefatte, ma anche per le loro. Questi sei ne hanno seicento che profittano sotto di loro, e fanno con questi seicento quello che fanno col tiranno. Questi seicento ne tengono seimila sotto di loro, che hanno elevato nella gerarchia, ai quali fanno dare o il governo delle provincie, o la gestione del denaro pubblico, affinché appoggino la loro avarizia e crudeltà e che le mettano in atto al momento opportuno; e d’altro canto facendo tanto male non possono resistere, né sfuggire alle leggi ed alla pena, senza la loro protezione. Da ciò derivano grandi conseguenze, e chi vorrà divertirsi a sbrogliare la matassa, vedrà che, non seimila, ma centomila, milioni, si tengono legati al tiranno con quella corda, servendosi di essa come Giove in Omero, che si vanta, tirando la catena, di ricondurre verso sé tutti gli dei. Da ciò deriva la crudeltà del Senato sotto Giulio [Cesare], l'istituzione di nuove funzioni, la creazione di incarichi; non certo, a conti fatti, riforma della giustizia, ma sostegno della tirannia. Insomma che ci si arrivi attraverso favori o sotto favori, guadagni e ritorni che si hanno sotto i tiranni, si trovano alla fina quasi tante persone per cui la tirannia sembra redditizia, quante quelle cui la libertà sarebbe gradita. Proprio come i medici dicono che quando nel nostro corpo c’è qualcosa di guasto, se in un’altra parte non c’è nulla che non va, questa finisce per cedere alla parte infetta: allo stesso modo, dal momento che un re si è dichiarato tiranno, tutti i malvagi, tutta la feccia del regno, non parlo di quel gran numero di ladri e furfanti bollati, che in una repubblica possono fare ben poco, nel bene e nel male, ma quelli che sono posseduti da una ardente ambizione e da una notevole avidità, si ammassano attorno a lui e lo sostengono per prendere parte al bottino, ed essere, sotto il gran tiranno, tirannelli anch’ essi. 

...Così il tiranno rende servi i sudditi gli uni per mezzo degli altri, ed è salvaguardato da coloro dai quali dovrebbe guardarsi, se valessero qualcosa; secondo il detto che per spaccare del legno, occorrono dei cunei dello stesso legno. Ecco i suoi difensori, le sue guardie, i suoi alabardieri. Non che a loro stessi non capiti di subire qualche volta da lui, ma questi esseri perduti e abbandonati da Dio e dagli uomini sono contenti di sopportare il male per farne, non a colui che gliene fa, ma a chi lo sopporta come loro, e non ne può più. Tuttavia, vedendo queste persone che servono il tiranno per trarre profitto dalla sua tirannia e dalla servitù del popolo, mi assale spesso lo stupore per la loro disonestà, e talvolta la pietà per la loro stupidità: poiché, a dire il vero, che altro vuol dire l’avvicinarsi al tiranno se non allontanarsi dalla propria libertà, e per così dire, stringere a due mani ed abbracciare la servitù? Che mettano un po’ da parte la loro ambizione e che si liberino un po’ della loro avarizia, e poi si osservino e che si esaminino, e vedranno chiaramente che i campagnoli, i contadini, che ogni volta che possono calpestano sotto i loro piedi, e trattano peggio che forzati e schiavi, vedranno, dico, che costoro, pur così maltrattati, sono tuttavia in confronto a loro fortunati e in una certa misura liberi. Il contadino e l’artigiano, per quanto siano asserviti, facendo quello che gli hanno detto di fare se ne liberano. Ma il tiranno vede gli altri che gli sono accanto, che implorano e mendicano il suo favore: non devono solamente fare ciò che dice, ma pensare ciò che vuole, e spesso per soddisfarlo, che precorrano persino i suoi pensieri. Non basta che gli obbediscano, devono addirittura compiacerlo; occorre che si facciano in quattro, che si tormentino, che si ammazzino di fatica per i suoi affari e poi che si compiacciano del suo piacere, che rinuncino al loro gusto per il suo, che forzino il loro temperamento, che si spoglino del loro carattere. Devono prestare attenzione alle sue parole, alla sua voce, ai suoi segni ed ai suoi occhi. Non devono avere né occhio né piede né mano che non sia in guardia per spiare le sue volontà e per scoprire i suoi pensieri. Questo sarebbe vivere felici? Questo si chiama vivere? Ci può essere al mondo niente di meno sopportabile di questo, non dico per un uomo coraggioso, non dico per uno di buoni natali, ma semplicemente per uno che possegga il senso comune, o anche solo le fattezze di un uomo? Quale condizione può essere più miserabile di quella di vivere così, in cui non si ha niente per sé, dipendendo da altri per la propria gioia, la propria libertà, il proprio corpo e la propria vita?

...Dunque è davvero penoso che, pur vedendo tanti esempi lampanti, vedendo il pericolo così presente, nessuno voglia imparare dalle altrui disgrazie e che, di tante persone che si avvicinano così volentieri ai tiranni, non ce n’è uno che abbia l’accortezza ed il coraggio di dir loro quello che disse nella favola, la volpe al leone, che faceva il malato: “Verrei volentieri a farti visita nella tua tana, ma vedo troppe tracce di animali che vanno avanti verso di te, e non ne vedo una che ritorni indietro.”

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