Le parole più chiare, nette e puntuali sulla grande parte dei rapporti umani che possiamo osservare attorno a noi...
Etienne de La Boetie (1530-1563), dal "Discorso sulla servitù volontaria"
...Sono sempre quattro o cinque che sostengono il
tiranno, quattro o cinque che gli tengono l’intero paese in schiavitù. È sempre successo
che cinque o sei hanno avuto la fiducia del tiranno, che si siano avvicinati da sé, oppure
chiamati da lui, per essere i complici delle sue crudeltà, i compagni dei suoi piaceri, i
ruffiani delle sue voluttà, e partecipi ai bottini delle sue scorrerie. Questi sei orientano
così bene il loro capo, che a causa dell’associazione, egli deve essere disonesto, non
solamente per le sue malefatte, ma anche per le loro. Questi sei ne hanno seicento che
profittano sotto di loro, e fanno con questi seicento quello che fanno col tiranno. Questi
seicento ne tengono seimila sotto di loro, che hanno elevato nella gerarchia, ai quali fanno
dare o il governo delle provincie, o la gestione del denaro pubblico, affinché appoggino la
loro avarizia e crudeltà e che le mettano in atto al momento opportuno; e d’altro canto
facendo tanto male non possono resistere, né sfuggire alle leggi ed alla pena, senza la loro
protezione. Da ciò derivano grandi conseguenze, e chi vorrà divertirsi a sbrogliare la
matassa, vedrà che, non seimila, ma centomila, milioni, si tengono legati al tiranno con
quella corda, servendosi di essa come Giove in Omero, che si vanta, tirando la catena, di
ricondurre verso sé tutti gli dei. Da ciò deriva la crudeltà del Senato sotto Giulio [Cesare], l'istituzione di nuove funzioni, la creazione di incarichi; non certo, a conti fatti, riforma della
giustizia, ma sostegno della tirannia. Insomma che ci si arrivi attraverso favori o sotto
favori, guadagni e ritorni che si hanno sotto i tiranni, si trovano alla fina quasi tante
persone per cui la tirannia sembra redditizia, quante quelle cui la libertà sarebbe gradita.
Proprio come i medici dicono che quando nel nostro corpo c’è qualcosa di
guasto, se in un’altra parte non c’è nulla che non va, questa finisce per cedere alla parte
infetta: allo stesso modo, dal momento che un re si è dichiarato tiranno, tutti i malvagi,
tutta la feccia del regno, non parlo di quel gran numero di ladri e furfanti bollati, che in
una repubblica possono fare ben poco, nel bene e nel male, ma quelli che sono posseduti
da una ardente ambizione e da una notevole avidità, si ammassano attorno a lui e lo
sostengono per prendere parte al bottino, ed essere, sotto il gran tiranno, tirannelli anch’
essi.
...Così il tiranno rende servi i sudditi gli uni per mezzo degli altri, ed è
salvaguardato da coloro dai quali dovrebbe guardarsi, se valessero qualcosa; secondo il
detto che per spaccare del legno, occorrono dei cunei dello stesso legno. Ecco i suoi
difensori, le sue guardie, i suoi alabardieri. Non che a loro stessi non capiti di subire qualche volta da lui, ma questi esseri perduti e abbandonati da Dio e dagli uomini sono
contenti di sopportare il male per farne, non a colui che gliene fa, ma a chi lo sopporta
come loro, e non ne può più.
Tuttavia, vedendo queste persone che servono il tiranno per trarre profitto dalla
sua tirannia e dalla servitù del popolo, mi assale spesso lo stupore per la loro disonestà, e
talvolta la pietà per la loro stupidità: poiché, a dire il vero, che altro vuol dire l’avvicinarsi
al tiranno se non allontanarsi dalla propria libertà, e per così dire, stringere a due mani ed
abbracciare la servitù? Che mettano un po’ da parte la loro ambizione e che si liberino un
po’ della loro avarizia, e poi si osservino e che si esaminino, e vedranno chiaramente che i
campagnoli, i contadini, che ogni volta che possono calpestano sotto i loro piedi, e
trattano peggio che forzati e schiavi, vedranno, dico, che costoro, pur così maltrattati,
sono tuttavia in confronto a loro fortunati e in una certa misura liberi. Il contadino e
l’artigiano, per quanto siano asserviti, facendo quello che gli hanno detto di fare se ne
liberano.
Ma il tiranno vede gli altri che gli sono accanto, che implorano e mendicano il
suo favore: non devono solamente fare ciò che dice, ma pensare ciò che vuole, e spesso
per soddisfarlo, che precorrano persino i suoi pensieri. Non basta che gli obbediscano,
devono addirittura compiacerlo; occorre che si facciano in quattro, che si tormentino, che
si ammazzino di fatica per i suoi affari e poi che si compiacciano del suo piacere, che
rinuncino al loro gusto per il suo, che forzino il loro temperamento, che si spoglino del
loro carattere. Devono prestare attenzione alle sue parole, alla sua voce, ai suoi segni ed
ai suoi occhi. Non devono avere né occhio né piede né mano che non sia in guardia per
spiare le sue volontà e per scoprire i suoi pensieri. Questo sarebbe vivere felici? Questo si
chiama vivere? Ci può essere al mondo niente di meno sopportabile di questo, non dico
per un uomo coraggioso, non dico per uno di buoni natali, ma semplicemente per uno che
possegga il senso comune, o anche solo le fattezze di un uomo? Quale condizione può
essere più miserabile di quella di vivere così, in cui non si ha niente per sé, dipendendo da
altri per la propria gioia, la propria libertà, il proprio corpo e la propria vita?
...Dunque è
davvero penoso che, pur vedendo tanti esempi lampanti, vedendo il pericolo così
presente, nessuno voglia imparare dalle altrui disgrazie e che, di tante persone che si
avvicinano così volentieri ai tiranni, non ce n’è uno che abbia l’accortezza ed il coraggio
di dir loro quello che disse nella favola, la volpe al leone, che faceva il malato: “Verrei volentieri a farti visita nella tua tana, ma vedo troppe tracce di animali che vanno avanti
verso di te, e non ne vedo una che ritorni indietro.”