Resistenza e Liberazione. Parole vecchie? Contenuti
superati? Piacerebbe ai non pochi padroncini che, in quanto tali, sono pur
sempre anche servi. Servi e padroni, questo sì mondo vecchio, ma estremamente
vitale nella reazione al mondo adulto delle democrazie. Solo quando non si è
servi non si è neanche padroni, e la libertà dell’autodeterminazione diventa
una conquista ed un onere di esercizio costante e sostantivo. Liberazione è
affrancamento da un sistema di rapporti fondato sul semplice dominio e
prevaricazione (e sfumature di pelo). Resistenza è esercizio continuo delle
libertà contro il conformismo strisciante e sempre vivo dei dominati che si
sognano dominatori. Resistenza e Liberazione sono parole nuove sempre, mai
ancora nuove: sono in quanto slancio, movimento, innovazione. Resistenza e Liberazione
sono le condizioni imprescindibili per porsi oltre il primitivo ed il
premoderno. Resistenza e Liberazione rappresentano l’oggi, l’ora, questo
irripetibile istante. Sono la necessaria resurrezione incessante dell’uomo
persona.
Scrive Roberto Scarpinato (in Micromega 3/2015): “In
gran parte d’Italia il rapporto padrone-suddito era la pietra angolare dei
rapporti sociali. Tutta la ricchezza era concentrata in un ristretto numero di
famiglie; al posto della cultura dei diritti esisteva quella dell’elemosina e
del favore […] Società di servi, di padrini e padroni […] La lezione della
storia dimostra come le minoranze progressiste in Italia abbiano sempre avuto
vita difficile. Condannate nel corso dei secoli al rogo, al carcere, all’abiura,
all’esilio e, nel migliore dei casi, all’irrilevanza sociale, hanno svolto un ruolo
spesso determinante per l’evoluzione del paese, ma solo grazie a temporanee
crisi di potere delle maggioranze e a contingenti circostanze favorevoli […] A
seguito della sconfitta della seconda guerra mondiale e al crollo momentaneo
della vecchia classe dirigente fascista, mentre il paese è allo sbando, si apre
nel dopoguerra uno spazio provvisorio – un <<altrove>> - che,
sospendendo la <<normalità>> italiana e risalenti rapporti di
forza, assegna il timone del comando a ristrette élite culturali […] distante
anni luce dalla reale identità culturale delle masse del paese e della stessa
maggioranza delle sue classi dirigenti.”
Gli eterni padroni e padrini, gli eterni servi sono
per un attimo disorientati. Resistenza e Liberazione sembrano inverate nella
storia e certificate da un atto solenne di esistenza in vita: la Costituzione.
Ma è solo un attimo. Presto gli eterni padroni e padrini, gli eterni servi si rianno e si ricompattano. Gli
aspiranti dominatori riorganizzano le relazioni e definiscono le nuove ipocrisie
del lessico democratico. I servi annusano le tavole, divorano le briciole e satolli
sognano il prossimo pasto. Il ceto dirigente torna ad essere semplice insieme
di volatili aggregati dediti al dominio, al potere ed al dovuto privilegio; mentre
i rapporti si regolano in base al canone di fedeltà e non già di lealtà. Il
presente riprecipita nelle puerili brutture del conformismo. Questo è il nostro
presente e, volendo, non è neanche difficile leggerlo: la corruzione non è un fatto di
bustarelle, la corruzione non è (solo) un fatto di legge penale, bensì (e prima
di tutto) un acido che corrode carsicamente le relazioni tra uomini persone e
le degrada a mera dialettica servo/padrone. Questo è il nostro presente e tutti
lo vedono, ma a molti(ssimi) sta bene così. Cosa può la sparuta minoranza dei
non servi e neppure padroni? Attendere la prossima sospensione di normalità? il
prossimo passaggio di un anello che non tiene nella catena conformata degli
eventi? E, fino a quel momento, accettare, se va bene, l’irrilevanza sociale? Questa
è la dimensione della perenne attualità della Resistenza e della Liberazione.
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