lunedì 4 maggio 2015

Resistenza e Liberazione



Resistenza e Liberazione. Parole vecchie? Contenuti superati? Piacerebbe ai non pochi padroncini che, in quanto tali, sono pur sempre anche servi. Servi e padroni, questo sì mondo vecchio, ma estremamente vitale nella reazione al mondo adulto delle democrazie. Solo quando non si è servi non si è neanche padroni, e la libertà dell’autodeterminazione diventa una conquista ed un onere di esercizio costante e sostantivo. Liberazione è affrancamento da un sistema di rapporti fondato sul semplice dominio e prevaricazione (e sfumature di pelo). Resistenza è esercizio continuo delle libertà contro il conformismo strisciante e sempre vivo dei dominati che si sognano dominatori. Resistenza e Liberazione sono parole nuove sempre, mai ancora nuove: sono in quanto slancio, movimento, innovazione. Resistenza e Liberazione sono le condizioni imprescindibili per porsi oltre il primitivo ed il premoderno. Resistenza e Liberazione rappresentano l’oggi, l’ora, questo irripetibile istante. Sono la necessaria resurrezione incessante dell’uomo persona.

Scrive Roberto Scarpinato (in Micromega 3/2015): “In gran parte d’Italia il rapporto padrone-suddito era la pietra angolare dei rapporti sociali. Tutta la ricchezza era concentrata in un ristretto numero di famiglie; al posto della cultura dei diritti esisteva quella dell’elemosina e del favore […] Società di servi, di padrini e padroni […] La lezione della storia dimostra come le minoranze progressiste in Italia abbiano sempre avuto vita difficile. Condannate nel corso dei secoli al rogo, al carcere, all’abiura, all’esilio e, nel migliore dei casi, all’irrilevanza sociale, hanno svolto un ruolo spesso determinante per l’evoluzione del paese, ma solo grazie a temporanee crisi di potere delle maggioranze e a contingenti circostanze favorevoli […] A seguito della sconfitta della seconda guerra mondiale e al crollo momentaneo della vecchia classe dirigente fascista, mentre il paese è allo sbando, si apre nel dopoguerra uno spazio provvisorio – un <<altrove>> - che, sospendendo la <<normalità>> italiana e risalenti rapporti di forza, assegna il timone del comando a ristrette élite culturali […] distante anni luce dalla reale identità culturale delle masse del paese e della stessa maggioranza delle sue classi dirigenti.”

Gli eterni padroni e padrini, gli eterni servi sono per un attimo disorientati. Resistenza e Liberazione sembrano inverate nella storia e certificate da un atto solenne di esistenza in vita: la Costituzione. Ma è solo un attimo. Presto gli eterni padroni e padrini, gli eterni servi si rianno e si ricompattano. Gli aspiranti dominatori riorganizzano le relazioni e definiscono le nuove ipocrisie del lessico democratico. I servi annusano le tavole, divorano le briciole e satolli sognano il prossimo pasto. Il ceto dirigente torna ad essere semplice insieme di volatili aggregati dediti al dominio, al potere ed al dovuto privilegio; mentre i rapporti si regolano in base al canone di fedeltà e non già di lealtà. Il presente riprecipita nelle puerili brutture del conformismo. Questo è il nostro presente e, volendo, non è neanche difficile leggerlo: la corruzione non è un fatto di bustarelle, la corruzione non è (solo) un fatto di legge penale, bensì (e prima di tutto) un acido che corrode carsicamente le relazioni tra uomini persone e le degrada a mera dialettica servo/padrone. Questo è il nostro presente e tutti lo vedono, ma a molti(ssimi) sta bene così. Cosa può la sparuta minoranza dei non servi e neppure padroni? Attendere la prossima sospensione di normalità? il prossimo passaggio di un anello che non tiene nella catena conformata degli eventi? E, fino a quel momento, accettare, se va bene, l’irrilevanza sociale? Questa è la dimensione della perenne attualità della Resistenza e della Liberazione.